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L’enigma dei non luoghi e il vuoto dell’architettura moderna

1 Aprile, 2025

Uno sguardo a come gli spazi come aeroporti e centri commerciali siano diventati non luoghi, riflettendo la depersonalizzazione dell’ambiente moderno.

Potrebbe essere qualsiasi aeroporto del mondo: un nastro trasportatore che gira senza fretta, segnali luminosi, gente con valigie e fretta nello sguardo. Solo un dettaglio tradisce il luogo: i caratteri cinesi sui segnali. È Pechino, ma potrebbe anche essere San Paolo, New York o Dubai. Questa scena così familiare, quasi intercambiabile, rivela una verità inquietante sull’architettura contemporanea: il mondo è pieno di spazi che, pur essendo in paesi diversi, si somigliano troppo tra loro.

L’etnografo francese Marc Augé ha coniato il termine «non luoghi» nel 1995 per descrivere quegli spazi omogenei e anonimi che troviamo in tutto il mondo, come aeroporti, centri commerciali e catene di fast food. Si tratta di luoghi che non sono realmente destinazioni, ma punti di transito dove le persone passano, ma non si fermano.

Il disorientamento degli spazi liminali

Questi ambienti sono un contrasto diretto con lo shock culturale che può generare atterrare in un paese straniero. Il famoso chef Anthony Bourdain lo ha vissuto nel suo primo viaggio in Giappone, dove ha scelto uno Starbucks invece di un bar locale, sentendosi come un estraneo in una cultura vibrante.

Gli aeroporti, in questo senso, sono esempi perfetti di ciò che la cultura popolare definisce spazi liminali. Nella finzione, questi luoghi sono spesso portali verso altri mondi, come il Giardino dell’Eden in Le Cronache di Narnia o il corridoio bianco di Matrix Reloaded, dove ogni porta conduce a una realtà diversa.

Tuttavia, l’eccessiva neutralità di questi spazi può diventare inquietante quanto qualsiasi altra forma di differenza. Un fenomeno interessante che è emerso da questa idea è quello delle backrooms, una leggenda urbana che è nata nel 2019 nel forum 4chan. Viene descritta come un labirinto interminabile di stanze vuote e monotone, che intrappolano coloro che entrano accidentalmente in questo mondo parallelo.

Ma quale connessione ha questo con la nostra vita quotidiana? Fino al XIX secolo, l’architettura era ricca di ornamenti e dettagli. Gli edifici erano adornati con gargolle, colonne e archi che riflettevano le culture locali. Tuttavia, con l’avvento del modernismo nel XX secolo, è iniziata una tendenza verso il minimalismo. Adolf Loos sosteneva che l’evoluzione culturale implicava l’eliminazione degli ornamenti dalla vita quotidiana, il che ha portato alla creazione di strutture sobrie e funzionali.

Questa trasformazione ha dato luogo alla proliferazione di grattacieli con facciate in vetro, come quelle del World Trade Center, che, sebbene siano icone della modernità, hanno omogeneizzato le nostre città, trasformandole in spazi impersonali. Il risultato sono enormi centri urbani che assomigliano a aeroporti, dove la diversità culturale e l’identità locale si dissolvono in un mare di vetro e acciaio.

Così, queste costruzioni diventano labirinti che sfumano l’essenza di ciò che dovrebbe essere una casa. Le città, in sostanza, sono luoghi dove la gente vive, ed è difficile sentire che un luogo è una casa se manca di caratteristiche che lo rendano unico.

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